Cagliostro e l'alchimia

L'alchimia, ovvero la pretesa scienza che si riteneva permettesse di convertire i metalli vili in nobili e di creare medicamenti atti a guarire ogni malattia e a prolungare la vita oltre i termini naturali, fu praticata con particolare dedizione da Cagliostro. Attirato da tutto ciò che potesse solleticare il curioso intelletto, ansioso di accedere alle nuove correnti, alle dottrine più originali, alle teorie filosofiche provenienti dall'Oriente e per questo maggiormente inficiate da elementi magici e cabalistici (in Europa vi erano moltissime logge dedite all'ermeneutica alchemica), egli fu senza dubbio interprete dello spirito innovativo che caratterizzò il XVIII secolo. La fortuna di Cagliostro, infatti, è indissolubilmente legata alla sua capacità di incarnare complesse e svariate personalità: mago, medico, veggente, filantropo. Poiché nel Settecento il bisogno di giungere il più vicino possibile alla comprensione del soprannaturale aveva contagiato tutte le classi sociali (affascinate dal culto per il meraviglioso, prodotto dell'Illuminismo, del Saturnismo e dell'ermeneutica alchemica), Cagliostro decise di svolgere la determinante funzione di divulgatore di una scienza che prima di lui era riservata a pochi iniziati, essendo considerata astrusa e proibita.
Per poter ricoprire pienamente il ruolo di esoterista e di uomo di pensiero egli dovette, dunque, vestire i panni del mago-veggente ma anche del medico-taumaturgo. Le doti taumaturgiche, poi, nel XVIII secolo venivano spesso messe in relazione con quelle alchemiche e di conseguenza la figura dell'alchimista assunse la dignità e il fascino di chi conserva il più profondo segreto della conoscenza, necessario per destreggiarsi nelle teorie relative all'immortalità dell'anima e alla metempsicosi, alimentate nel secolo di Cagliostro da quei filosofi che erano interessati ad un'indagine di carattere spiritualista e materialista insieme.
Cagliostro, dunque, ascende al rango di sapiente, consapevole sia dell'importanza della materia di cui conosce i misteri nel rispetto delle regole che governano deontologicamente questa scienza: la sua proverbiale filantropia si ispirò, probabilmente, proprio ai principi della filosofia alchemica che impedivano ogni genere di speculazione sulla conoscenza di metodologie destinate esclusivamente al miglioramento delle condizioni di vita dell'uomo. Le cognizioni alchemiche di Cagliostro non si risolvono, quindi, nel puro e semplice procedimento empirico per la preparazione di unguenti e medicamenti, ma aspirano al raggiungimento di una gnosi esoterica che consenta la massima elevazione spirituale.
Dalla abbondante quanto purtroppo inattendibile letteratura sulla vita di Cagliostro, abbiamo appreso che il suo primo maestro in campo medico e alchemico fu Altotas, un personaggio alquanto oscuro di indubbia provenienza che morì a Malta nel 1767. Sembra che costui fosse esperto di medicina popolare e dell'arte di tingere e trattare i metalli. L'insegnamento che Cagliostro ne ricavò fu certamente legato alla semplice empiria: agli inizi della sua carriera, quando ancora si faceva chiamare Giuseppe Balsamo, l'alchimia fu per lui un mero espediente che gli consentì di fare soldi con la vendita di alcuni "segreti". Dopo il 1772, quando, in seguito all'adesione alla Massoneria, egli aveva assunto il nome di Alessandro conte di Cagliostro, incontrò il monaco benedettino Dom Antoine Pernety, uomo di vasta erudizione che era stato chiamato alla corte di Federico II di Prussia, dove aveva incontrato importanti uomini di cultura che lo avevano iniziato alle scienze ermetiche. Sembra che Pernety abbia poi fondato un proprio rito del quale prese parte lo stesso Cagliostro, suo convinto sostenitore.
Proprio da questa eccellente frequentazione, Cagliostro apprese che non era possibile interpretare l'alchimia come una prassi fondata su storte ed alambicchi, ma che invece bisognava intenderla come una scienza ermeneutica che ricerca il segreto della pietra filosofale, con l'ausilio di antiche scritture egiziane e greche. Di conseguenza, egli si appropriò della funzione di custode degli arcani della natura, celati negli antichi caratteri geroglifici. Infatti, secondo quanto tramandato da Ermete Trismegisto, solo pochi adepti alla filosofia alchemica potevano essere considerati dagli antichi saggi egizi veramente meritevoli di partecipare alla conoscenza più profonda, opportunamente velata da enigmi e linguaggi di difficile interpretazione. Solo chi possiede il più autentico spirito alchemico sarà in grado di comprendere la verità nascosta in fatti apparentemente bizzarri, inverosimili, talvolta addirittura antitetici e fantastici e di impiegarla per scopi benefici.
Cagliostro, aderendo a queste teorie, incarnò agli occhi del suo secolo la figura che compendiava in sé l'antica saggezza dell'ermeneuta e l'abilità pratica dell'empirista. Inoltre, riuscì a soddisfare il bisogno collettivo di fantasticare su tutto ciò che era incognito, inesplortato: fu proprio la fantasia popolare a creare il mito del conte alchimista, detentore della massima sapienza, conseguita attraverso viaggi in terre lontane che, opportunamente vagliati, risulteranno essere per lo più frutto dell'immaginazione. Eppure è pervenuta fino a noi una tradizione che ci parla di un uomo proveniente da paesi sconosciuti in cui avrebbe vissuto in epoche indefinibili, che avrebbe compiuto viaggi favolosi che lo avrebbero portato a conoscere luoghi e personaggi ammalianti: la Mecca, il Collegio di Salomone fondato dalla regina di Saba, l'antica Tebaide, la torre di Babele, il monte Ararat, dove avrebbe visto i resti dell'arca di Noè. Grazie a questi contatti, Cagliostro avrebbe acquisito profonde cognizioni nelle arti più nobili (spagirica, astrologia, interpretazione dei sogni, alchimia) che, successivamente esercitò nelle più importanti corti d'Europa, raggiungendo così altissima fama: lo studio della sua casa parigina di Rue Saint-Claude diventerà il luogo in cui verranno ammessi pochi eletti a presenziare le cerimonie rituali; la popolazione potrà solo fantasticare sulle attività misteriche, sbirciando le rare apparizioni pubbliche del celebre occultista. Presentandosi, dunque, come depositario dell'antica sapienza ermetica, Cagliostro negherà la "scienza della storia" di Gian Battista Vico, opponendo alla concezione secondo la quale l'uomo può conoscere solo ciò di cui è autore, e cioè la storia e non la natura, creata da Dio, la teoria che lasciava alla storia la possibilità di presentare dei vuoti, costituiti da eventi non spiegabili razionalmente ma intellegibili solo a chi fosse capace di compiere un percorso intriso di rituali che avrebbero consentito di penetrare con gli occhi della mente spazi infiniti.