La storia letta sui giornali dell'epoca
Nel 1940, in una località isolata presso Smolensk, i Sovietici uccisero diecimila ufficiali polacchi che si erano arresi nel '39. Più tardi le salme furono scoperte per caso dai Tedeschi. Ma il governo di Mosca attribuì loro la responsabilità dell'eccidio e, solo dopo anni, fu possibile appurare la verità.
Un gruppo di esuli polacchi si radunò il 19 settembre 1976, nel cimitero londinese di Hammersmith: nel corso di una breve cerimonia, scoprirono un obelisco nero, dedicato ai quindicimila ufficiali loro compatrioti, catturati dai Russi agli inizi della seconda guerra mondiale e ritrovati poi in gran parte ammonticchiati nelle fosse di Katyn, con i segni evidenti dell'esecuzione sommaria: un colpo di pistola alla nuca.
Sulla base dell'obelisco erano state incise due sole parole: Katyn 1940, una scritta esplosiva che indusse le autorità inglesi a disertare prudentemente la cerimonia. Infatti, accettando come data dell'eccidio il 1940, se ne attribuisce la responsabilità ai sovietici i quali invece hanno sempre cescato di datarlo 1941, per attribuirne la colpa ai Tedeschi. A 37 anni dall'invasione russa della Polonia, la Gran Bretagna dimostrava ancora una volta il suo culto per la diplomazia, seguendo una linea di condotta che era già stata tracciata nel 1944 quando l'ambasciatore britannico presso il governo polacco in esilio, Sir Owen O'Malley, in un dispaccio confidenziale al ministro degli esteri Eden, aveva suggerito: "Dobbiamo tenere sempre presenti queste cose (Katyn) ma non parlarne mai". Churchill stesso, quando vi accennava pubblicamente, diceva: "Ci vorranno almeno vent'anni per chiarire questa vicenda", anche se in privato, come testimoniò suo nipote alla cerimonia per l'obelisco: "Nonno Winston non ebbe mai dubbi che i Russi fossero i responsabili".
Insomma, l'eccidio di Katyn, come altre pagine disonorevoli della seconda guerra mondiale, è destinato a rimanere un "enigma" per i politici. Per gli storici invece, i vent'anni previsti da Churchill sono passati da un pezzo: sulla responsabilità sovietica concordano oggi i più illustri sovietologi del mondo, da Adam Ulam dell'Università di Harvard a Bonald Hingley dell'Università di Oxford, da Robert Conquest e Julius Epstein dell'Università di Stanford a Henri de Montfort dell'Institut desHautes Etudes Internationals di Parigi. Perfino Alexander Werk, che non ha mai nascosto le sue simpatie per l'URSS, si è arreso all'accumularsi delle prove, l'ultima delle quali - importantissima - è rappresentata dalle memorie, apparse all'inizio del 1977, di Stanislav Swianiewicz, insigne economista polacco dell'Università di Halifax (Canada), unico testimone vivente (in occidente) della fase conclusiva dell'eccidio.
Quando il 1° settembre 1939 l'esercito tedesco invase la Polonia, i rapporti tra quest'ultima e l'Unione Sovietica erano regolati dal trattato di pace del 1921, dal Protocollo del 1929 (che prevedeva la rinuncia alla guerra quale strumento di politica tra i due Stati), dal Patto di non aggressione tra i due Stati del 1932 e dalla Convenzione di Londra per la definizione delle aggressioni del 1933. Ciononostante il 17 settembre del 1939, come conseguenza del patto nazi-sovietico dell'agosto precedente, l'Unione Sovietica invase la Polonia, spartendosela con i tedeschi. I due invasori emisero, il 28 settembre, una dichiarazione congiunta nella quale annunciavano di "aver risolto definitivamente i problemi sorti dalla disintegrazione dello Stato polacco e di aver posto le basi per una pace durevole nell'Est". Se per i Tedeschi si era trattato di una guerra-lampo, per i Russi il compito era stato ancora più semplice avendo essi assalito alle spalle un esercito amico che, ritirandosi, puntava a salvaguardare le forze restanti: uno degli attacchi russi più massicci avvenne infatti attraverso le terre meridionali della Polonia, lungo le frontiere della Romania, nella zona cioè attraverso la quale il comando polacco aveva calcolato di sgomberare le sue truppe, in vista di una continuazione del conflitto fuori dei confini. Il giornale sovietico Krasnaya Zwiezda così avrebbe celebrato l'avvenimento: "Le truppe corazzate, appoggiate dall'aviazione, dall'artiglieria e dalla fanteria motorizzata avanzarono come una valanga, rendendo vana la resistenza del nemico (i Polacchi). In dodici o quindici giorni il nemico fu completamente sbaragliato e distrutto. In quel periodo un solo gruppo di forze ucraine, aggirando gli avversari, catturò 10 generali, 52 colonnelli, 75 tenenti colonnelli, 5.131 ufficiali, 4.096 sottufficiali, 181.233 soldati". Questa l'opera di un solo gruppo. Al termine del blitz sovietico queste cifre sarebbero state triplicate. Mentre le truppe di occupazione si abbandonavano al saccheggio, tutti gli ufficiali polacchi, compresi quelli della riserva, arrestati in base alle liste appositamente compilate, vennero avviati ai campi di concentramento. Alcuni di essi si consegnarono spontaneamente, irretiti da un proclama del generale Timoscenko che prometteva, a chi si arrendeva, un lasciapassare per l'Ungheria da dove i fuggiaschi "avrebbero potuto riprendere la guerra contro i Tedeschi".
La "Collina delle Capre", dove furono rinvenute le fosse in cui erano state sommariamente seppellite le salme dei militari polacchi trucidati dai Sovietici nel 1940, sorge nei pressi di Katyn, un paese a pochi chilometri da Smolensk, nella ex Unione Sovietica. La zona fu occupata dalle truppe tedesche durante l'avanzata dell'estate del 1941
I tre principali campi di prigionia verso i quali furono avviati gli ufficiali erano in Ucraina, nelle località di Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov, dove i primi contingenti cominciarono ad arrivare nell'autunno del 1939. Kozelsk si trova a 250 chilometri a sud-est di Smolensk e nel novembre ospitava già 5000 Polacchi. Nell'aprile del 1940 vi erano internati quattro generali e un contrammiraglio, un centinaio di colonnelli, 300 maggiori, 1.000 capitani, 2.500 tenenti, 500 allievi ufficiali, 200 ufficiali piloti, 50 ufficiali di marina e un gran numero di ufficiali della riserva tra i quali 21 docenti universitari, 300 medici, centinaia di magistrati, scrittori, poeti, giornalisti e uomini d'affari. C'era una sola donna, figlia di un generale, trovata in seguito con gli altri nella fossa comune.
Nel lager di Starobelsk - un ex convento, come le altre due località - erano internati 4.000 ufficiali, in gran parte effettivi. Il campo di Ostaskov invece si trovava su un'isola del lago Seliger, a nord-ovest di Kalinin e accoglieva pochi ufficiali: la maggior parte dei 6.000 detenuti era formata dalla miglior borghesia polacca che, in quanto tale, era destinata a scomparire fisicamente.
Per alcune settimane la polizia politica russa mise in atto tentativi di recupero politico: fece sparire misteriosamente tutti i sacerdoti che celebravano le seguitissime Messe al campo, migliorò il vitto e bombardò con pubblicazioni e radiotrasmissioni i prigionieri, ma presto l'esperimento fu considerato fallito e il generale Zarubin, che lo aveva diretto, se ne andò non senza aver prima ispezionato per l'ultima volta i tre campi.
Ai primi giorni dell'aprile 1940 cominciò la contemporanea evaquazione di tutti e tre i campi e dei 15.000 prigionieri che vi erano rinchiusi. Quattrocento di essi, selezionati con criteri poco noti furono mandati a Pavliscev Bor, gli altri partirono per "destinazione ignota".
Quando nel giugno del 1941, la Germania attaccò l'Unione Sovietica penetrando con facilità all'interno del paese, Stalin fu costretto a chiedere aiuto a quegli stessi "amici" che aveva pugnalato alla schiena. La Polonia, rappresentata dal governo in esilio, pose come unica condizione il ritorno allo status quo precedente l'aggressione.
Due fasi della prima autopsia effettuata nel 1943. Sopra il prof. Miloslawich, membro della London Society of Legal Medicine, mentre mostra ad un ufficiale tedesco alcuni reperti. Sotto, il prof. Naville, svizzero, sta esaminando l'uniforme di un soldato polacco.
L'accordo, firmato il 14 agosto del 1941, prevedeva tra l'altro l'amnistia per tutti i cittadini polacchi detenuti nell'URSS, compresi i prigionieri di guerra. Il generale Anders e altri ufficiali superiori vennero tirati fuori dalla Lubianka e da alcuni campi dove erano stati segregati e seviziati e, rivestiti con uniformi fresche, furono messi a capo del nuovo Stato Maggiore tra abbracci e riverenze. Ma dovendo ricostruire i quadri di un intero esercito distrutto essi chiesero per prima cosa di riavere i loro ufficiali che erano stati internati a Kozelsk. Starobelsk e Ostaskov. La richiesta non solo mise in imbarazzo i Russi ma provocò una serie di risposte spesso contrastanti. In un primo tempo Mosca rispose: "Abbiamo liberato tutti, abbiate pazienza, c'è il caos nei trasporti", ma poi, col passare del tempo e con l'incalzare delle richieste polacche che giungevano corredate di elenchi di nominativi, date e riferimenti precisi, cominciò lo scaricabarile tra le varie autorità competenti. Finalmente l'ambasciatore polacco riuscì a parlare direttamente con Stalin. Questi, in presenza del suo interlocutore, telefonò alla polizia segreta per avere notizie precise, ma ottenuta la risposta tornò al suo tavolo rannuvolato e cambiò discorso.
Le raccapriccianti immagini dei cadaveri allineati nei campi nelle vicinanze della "Collina delle Capre". In una sola fossa furono recuperati i corpi di tremila militari, quasi tutti ufficiali, accatastati in dodici strati sovrapposti.
Un secondo colloquio fu concesso dal dittatore ai generali polacchi Anders e Sikorski. Ecco il resoconto.
Sikorski: Non spetta a noi darvi gli elenchi, comunque i comandanti dei campi li hanno. Io ho qui una lista di quattromila ufficiali polacchi che si trovano nei vostri campi di lavoro, ma è stato appurato che nemmeno uno di loro è ancora laggiù.
Stalin: Impossibile. Saranno scappati.
Anders: E dove sarebbero scappati?
Stalin: Beh, verso la Manciuria.
Nonostante queste risposte i Polacchi rimasero a lungo convinti che i loro connazionali fossero vivi e che Stalin si limitasse a non volerli restituire.
Le idee cominciarono a schiarirsi quando Stalin cambiò versione e disse: "Può darsi che si trovassero in campi attualmente occupati dai Tedeschi", indicando così la linea di condotta che i Russi avrebbero in seguito scelto. Ma la nebbia parve diradarsi definitivamente quando fu rivelato un episodio che risaliva all'ottobre del 1940. A quel tempo un gruppo di ufficiali polacchi filocomunisti era stato selezionato da Mosca per preparare reparti da inviare contro i Tedeschi. In quell'occasione, il tenente colonnello polacco Berling, aveva chiesto al vicecapo della polizia segreta russa Merkulov, in presenza di Beria: "Perchè non utiliziamo gli ufficiali eccellenti, rinchiusi nei campi di Starobelsk e Kozelsk?". E Merkulov impulsivamente aveva risposto: "Quelli no: abbiamo commesso un grave errore con quelli!".
Nel luglio del 1941, i Tedeschi occuparono Smolensk e nella primavera successiva inviarono in quella zona di retrovie i reparti della Todt , in gran parte costituiti da prigionieri polacchi, per la raccolta dei residuati bellici. Questi prigionieri militari furono i primi a sapere, dai racconti della popolazione locale, dell'esistenza della Collina delle Capre, nella foresta di Katyn. "Se non stai calmo, diceva la gente scherzando, ti portiamo sulla Collina delle Capre". Quello, fin dal lontano 1929, era il luogo delle esecuzioni riservato alla polizia segreta. Sulle rive del Dniepr sra stata costruita una dacia che serviva al comando, poi una grande porzione di terreno era stata cintata. L'inaugurazione era stata fatta, ai tempi della rivoluzione, dagli uomini della Ceka ai quali erano succeduti, sempre con compiti di "soluzione finale", quelli della GPU e infine dell'NKVD (Commissariato del Popolo per gli affari interni).
Manifesto della propaganda tedesca del 1941 in Bielorussia.
Dal 1940 erano comparse lungo i perimetri sentinelle con al guinzaglio cani poliziotto (che avevano già azzannato qualche curioso raccoglitore di funghi). La gente del luogo raccontò di aver visto arrivare a scaglioni successivi gli ufficiali polacchi e indicò la zona sospetta. Intervennero i Tedeschi che fecero fare qualche scavo e disseppellirono qualche cadavere con addosso l'uniforme di ufficiale polacco ma, essendo sopraggiunto il freddo, dovettero interrompere i lavori perchè il terreno diventava duro come la roccia. Nella primavera del '43 gli scavi ripresero là dove erano stati scoperti dei tumuli artificiali sui quali spuntavano betulle piantate di fresco.
Fu così che il 13 aprile Radio Berlino poté trasmettere questo comunicato: "Da un rapporto che ci è giunto da Smolensk apprendiamo che gli abitanti del posto hanno rivelato alle autorità germaniche l'esistenza di una località dove i bolscevichi hanno proceduto a esecuzioni in massa e dove 10.000 ufficiali polacchi sono stati trucidati dall'NKVD. Le autorità germaniche si sono portate in una località chiamata Collina delle Capre, una stazione climatica a 12 chilometri da Smolensk, dove hanno fatto una scoperta raccapricciante. In una fossa linga 28 metri e larga 16 hanno rinvenuto i cadaveri di tremila ufficiali polacchi, accatastati in dodici strati, tutti vestiti dell'uniforme del loro esercito; tutti erano legati e avevano alla nuca il foro prodotto da un colpo di pistola. L'identificazione non sarà difficile perchè, per la particolare natura del terreno, essi si trovano in un o stato di mummificazione e hanno ancora indosso i documenti personali. Oggi è stato possibile accertare che tra le salme c'è anche quella del generale Smorawinski di Lublino. Questi ufficiali, che originariamente erano chiusi in un campo di prigionia a Kozelsk, erano stati trasferiti a Smolensk per ferrovia, su carri bestiame, nel febbraio e marzo del 1940. Quindi vennero trasportati con autocarri alla Collina delle Capre dove furono trucidati. Si calcola che gli ufficiali uccisi ammontino a diecimila, il che corrisponderebbe ai quadri completi dell'esercito polacco catturati dai sovietici".
La lotta per lo scaricabarile ebbe subito inizio. I Russi (da Stalin al suo Stato Maggiore) che avevano sempre dichiarato di non saper nulla di quei prigionieri, risposero immediatamente che costoro "erano stati impiegati a costruire strade fino a che erano arrivati i Tedeschi e li avevano uccisi". Londra finse di credere a questa versione e la trasmise per radio, ma il governo polacco in esilio chiese un'inchiesta da parte di una commissione internazionale della Croce Rossa.
Fasi del recupero delle salme. La strage provocò un'aspra polemica tra l'Unione Sovietica e il governo polacco in esilio, polemica che giunse fino alla rottura delle relazioni diplomatiche nell'aprile del 1943. Il generale Wladislaw Sikorski, principale accusatore dei sovietici, perse la vita in un incidente aereo pochi mesi più tardi. In quell'occasione, molti sospettarono di un misterioso attentato.
La reazione dei Russi fu violentissima: si opposero all'inchiesta, ruppero le relazioni coi Polacchi di Londra e costituirono a Mosca un governo fantoccio che rappresentasse Varsavia.
I Tedeschi intanto avevano aggirato l'ostacolo. Consci di non essere "qualificati" ad accusare gli altri di stragi, convocarono una commissione medica internazionale, invitando gli specialisti delle principali università europee. La commissione si recò a Katyn, esaminò i cadaveri e centinaia di documenti trovati su di essi, poi compilò un rapporto nel quale si leggeva che dallo stato delle salme, dalle uniformi, dai documenti (agende, diari, lettere e giornali, tutti con data anteriore all'aprile del 1940) era stato dimostrato che la strage risaliva al marzo e all'aprile del '40.
Nonostante il clamore di questi risultati, le vicende della guerra volsero altrove l'attenzione del mondo. Ma quando nel settembre del 1943, i Sovietici riconquistarono Smolensk si affrettarono a riaprire le fosse e a mettere al lavoro una loro commissione, presieduta dall'accademico Burdenko. Questa commissione preparò un rapporto nel quale si leggeva che gli autori del massacro erano stati i Tedeschi; che i testimoni da loro presentati avevano confessato sotto la minaccia e le torture; che i cadaveri erano stati raccolti altrove e riseppelliti a Katyn; che questo incarico era stato assolto da prigionieri russi uccisi poi con i polacchi nell'autunno del 1941; che i Tedeschi avevano tolto dai cadaveri i documenti con data posteriore alla primavera del '40; che molte pallottole trovate sui cadaveri erano tedesche.
l rapporto, dato il precipitare degli avvenimenti bellici, non ebbe mai risposta, ma i Polacchi che avevano inviato una serie di loro commissioni a Katyn, lo smontarono pezzo per pezzo, dimostrando che i testimoni russi, quando non erano "irreperibili" o "deceduti" si erano contraddetti; che le autopsie avevano confermato la data di morte delle vittime come risalente alla primavera del '40; che era impossibile che i Tedeschi potessero estrarre, selezionare e rimettere addosso ai cadaveri documenti che, a causa dello stato avanzato di putrefazione, avevano dovuto essere trattati chimicamente per poter essere letti; che le pallottole tedesche rinvenute sui cadaveri erano in dotazione ai Russi, ai quali erano state vendute dalla ditta tedesca Genschow, prima della guerra.
Due familiari di soldati polacchi catturati nel settembre del 1939 dai Russi cercano di identificare i loro congiunti tra le salme recuperate a Katyn. I corpi, per la particolare natura del suolo, furono estratti pressoché mummificati e quindi riconoscibili.
A guerra finita, la strage di Katyn tornò alla ribalta quando l'episodio comparve tra le accuse a carico di Goering, al processo di Norimberga. In quell'occasione, nonostante l'URSS fosse sospettata, la parte della pubblica accusa fu assegnata proprio a un colonnello sovietico che si avvalse, per la sua opera, del rapporto Burdenko. Inoltre, dato che i Paesi dell'Est erano già sotto la protezione sovietica, fu vietato ai Polacchi di occuparsi della faccenda, mentre il medico bulgaro Markov, che in patria - per questo motivo - aveva già subito un processo di tipo stalinista, fu chiamato a ritrattare il documento della Commissione medica internazionale che aveva firmato nel '43. Da parte sua, il tribunale militare di Norimberga finì con l'archiviare il caso Katyn che si trovava citato negli atti di accusa, ma che scomparve dalla sentenza.
I Russi tentarono di attaccare anche all'estero gli ex-compomenti della Commissione internazionale. Sul comportamento morale dello svizzero prof. Francois Naville - ad esempio - chiese conto un deputato filocomunista al Gran Consiglio svizzero, ma tanto il professore che il governo svizzero insorsero contro il tentativo di denigrazione.
Altre fasi del recupero delle salme.
Nel 1946 morì il prof. Burdenko che aveva presieduto la commissione sovietica: secondo notizie piuttosto attendibili, Burdenko, prima di morire, confessò di aver redatto un rapporto falso per ordine di Stalin.
La notizia trapelò in Occidente e rimise in subbuglio gli espulsi polacchi. Un gruppo di deputati e senatori americani, capeggiato dall'ex ambasciatore in Polonia Arthur Bliss, costrinse il Congresso a nominare una speciale commissione che facesse finalmente luce sui fatti e sulle reali responsabilità.
La commissione riesaminò tutti i documenti, ma soprattutto interrogò molti testimoni che poté reperire tra gli esuli e tra i suoi stessi ufficiali. Il colonnello Van Vliet, uno dei prigionieri americani che i Tedeschi avevano portato a Katyn come osservatore, raccontò che, nonostante il suo odio per i Tedeschi, gli era stato impossibile non prendere atto che il massacro era opera dei Russi. Tra le varie annotazioni, Van Vliet ricordava che molti ufficiali polacchi dissepolti avevano gli stivali pressoché nuovi "cosa che sarebbe stata impossibile se i Polacchi avessero fatto due anni di prigionia, magari costruendo strade". Il colonnello Henry Szymanski, ufficiale di collegamento americano presso l'esercito polacco, dichiarò di aver parlato con centinaia di persone che erano al corrente delle uccisioni. Un profugo polacco, che accettò di deporre solo a volto coperto per timore che i suoi parenti rimasti in Polonia subissero ritorsioni, fece finalmente una testimonianza definitiva, raccontando di aver assistito personalmente all'uccisione di duecento ufficiali polacchi, a Katyn. Da un nascondiglio vicino alla fossa comune egli e un suo compagno videro gli ufficiali condotti ognuno da due soldati russi davanti alla fossa, con le braccia legate dietro la schiena. Mentre una guardia teneva il prigioniero, l'altra gli riempiva la bocca di segatura, perchè non gridasse. Se qualcuno resisteva, veniva ucciso. Gli altri venivano gettati nella fossa vivi e là morivano di soffocamento. Un ufficiale russo, fuggito dall'URSS (il colonnello Vasili Ershov) nel confermare i fatti ricordò che un suo conoscente, che aveva comandato le guardie, raccontava della sbalorditiva quantità di vodka che i soldati russi bevevano prima e dopo le esecuzioni.
Il rapporto della commissione americana provocò le ire dei Sovietici che imbastirono una vivace campagna di stampa contro l'iniziativa USA. Poi, sulle fosse di Katyn tornò il silenzio. Sembra che Kruscev volesse finalmente ammettere la verità, nel corso del XX Congresso, scaricandone la responsabilità su Stalin e su Beria, ma Gomulka ritenne che tale ammissione avrebbe riacceso l'animo dei Polacchi.
Nel 1975, il segretario della Anglo-Polish Association di Londra ricevette ed esibì una lettera del capo della NKVD di Minsk nella quale si attribuiva la responsabilità del massacro a quattro alti ufficiali sovietici, che avrebbero male interpretato un ordine di Mosca.
Pagina del documento redatto nel '43 dalla commissione internazionale d'inchiesta. Vi sono riprodotte, tra l'altro (in basso a sinistra), le tessere d'identità di alcuni ufficiali polacchi assassinati.
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Link:
Il massacro di Katyn
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La verità su Katyn
Riflettori sul massacro di Katyn
Katyn forest massacre
Katyn, tanti tabù per un massacro
L'Urss riuscì a lungo a rovesciare l'accusa sugli stessi tedeschi, finché non fu definitivamente smentita nel 1989.
Testo di Lucio Lami